Image for Resilienza della logistica fra incertezza e nuove strategie

Per oltre trent’anni una crescente percentuale di aziende ha delocalizzato una o più fasi del processo produttivo, allo scopo di acquisire maggiore competitività sui mercati internazionali. Tale strategia, denominata “offshoring”, si avvantaggia del basso costo del lavoro e delle materie prime e della pressione fiscale più contenuta dei paesi in via di sviluppo rispetto a quello della casa madre.

La pandemia e lo scoppio del conflitto fra Russia e Ucraina hanno fatto lievitare i costi energetici e di trasporto, mettendo a nudo le criticità strutturali di una supply chain ormai allungatasi esponenzialmente nel corso del tempo. Tutto ciò in parallelo alla massiccia diffusione dell’e-commerce e alla conseguente maggiore centralità dei magazzini di prossimità. La scarsa disponibilità dei container e la carenza di materie prime e forza lavoro hanno ulteriormente messo a dura prova il settore della logistica.

Questo nuovo contesto globale caratterizzato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, sintetizzato spesso con l’acronimo inglese VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity), richiede catene di approvvigionamento più resilienti rispetto alle fluttuazioni della domanda. Ciò si traduce nell’ampliamento delle scorte, nelle cosiddette strategie di reshoring e nearshoring e nella conseguente ridefinizione della logistica e dei trasporti.

Il reshoring è il processo di rilocalizzazione della produzione aziendale da un paese straniero al paese d’origine. L’80% delle aziende manifatturiere americane ritiene che “costruire dove si vende” possa rappresentare una risposta valida al rischio di incertezza. Accorciare la propria catena logistica permette infatti di ridurre i costi di approvvigionamento e far fronte ad eventuali blocchi della produzione causati da eventi contingenti, come il blocco del canale di Suez.

Tuttavia ciò non è sempre possibile, perchè a volte le risorse critiche sono presenti solo in specifiche zone del pianeta. Una recente ricerca del Fondo Monetario Internazionale afferma che una maggiore diversificazione dei fornitori (multisourcing) possa migliorare la resistenza economica della supply chain.

Pertanto l’adozione di una strategia ibrida sembrerebbe lo scenario più praticabile. Il nearshoring ad esempio consiste nello spostamento della produzione in nazioni la cui manodopera ha un costo inferiore, ma che si trovano all’interno della propria area geografica, omogenea per know-how e stabilità politica. Paesi come Turchia, Marocco, Egitto o Tunisia possono rappresentare un’alternativa alle regioni asiatiche, che sono molto più lontane e pongono problemi di tipo logistico.

Per alcuni analisti invece le difficoltà della logistica possono essere superate tramite la trasformazione digitale: il settore potrebbe ottenere un notevole vantaggio competitivo grazie all’applicazione dell’Internet delle cose (IoT), perché questa tecnologia consente un rapido scambio di informazioni in tempo reale fra tutte le parti coinvolte nella catena di approvvigionamento.

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