L’Unione Europea e gli Stati Uniti puntano a raggiungere entro il 2050 la cosiddetta carbon neutrality, ovvero l’equilibrio fra emissioni ed assorbimento di carbonio.
Sebbene la guerra in Ucraina e la pandemia abbiano accelerato il passaggio verso fonti rinnovabili, si tratta comunque di un obbiettivo ambizioso, per il cui raggiungimento la logistica rappresenta un alleato fondamentale.
Dal 2008 ad oggi una parte consistente della supply chain è stata terziarizzata in Asia. Persino i pannelli fotovoltaici sono stati prodotti principalmente nel Sud Est Asiatico con tecnologie alimentate da combustibili fossili.
A seguito di una crescente consapevolezza sul tema della sostenibilità, ora assistiamo al fenomeno contrario: il cosiddetto reshoring, ovvero la rilocalizzazione nel paese d’origine. Questa tendenza interessa tutte le categorie merceologiche e coinvolge appieno anche il comparto logistico, poiché la produzione dei componenti viene spostata in prossimità della destinazione finale, in Europa oppure negli Stati Uniti. Ciò consente di accorciare la catena di approvvigionamento e abbassare i livelli di inquinamento.
Anche il trasporto impatta fortemente sul bilancio ambientale di un prodotto. Il Green Deal europeo prevede di triplicare il traffico ferroviario entro il 2050 per affiancare e al tempo stesso limitare quello su gomma. In tale contesto si applica dunque il concetto di intermodalità.
Questo termine definisce la combinazione fra tipologie di trasporto differenti per la movimentazione dal punto di partenza alla destinazione finale, peraltro senza che vi sia necessità di manipolazione delle merci nel trasferimento da un mezzo all’altro (la cosiddetta “rottura di carico”).
Si tratta di un’opzione ecosostenibile, se paragonata al trasporto stradale, poiché riduce del 55% le emissioni di anidride carbonica.
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